Psicosomatica

XXIV Congresso: Violenza di genere

Un’intervista su un problema molto importante e attuale al fine di averne una maggior conoscenza in base ad una esperienza di operatore sanitario.

Intervista a Franca Ardi
a cura di Elisa Faretta

Franca Ardi, medico, specialista in ginecologia-ostetricia, dipendente per circa 20 anni presso l’ULSS6 di Vicenza con attività territoriale consultoriale e ambulatoriale. Di recente in pensione.
Con particolare interesse al socio-sanitario, da molti anni è impegnata riguardo alla violenza sessuale e di genere in collegamento con istituzioni nazionali e locali. Collabora con il Gruppo di Studio Nazionale AOGOI Donne e violenza.
A Vicenza, in collaborazione con il Comune, ha svolto attività di consulenza ginecologica anche peritale presso il Centro regionale per l’abuso infantile “L’ARCA” e ha partecipato nel 2006 allo “Studio multicentrico nazionale sulla violenza ai minori”. Ha partecipato alla creazione dello Sportello antiviolenza “Sportello Donna – Rete dell’aiuto” e del Centro antiviolenza CeAV”.
È stata organizzatrice e relatrice nel Convegno “Il Silenzio delle donne: una risposta”, e correlatrice nella tesi di diploma in Medicina Generale “Medici di Medicina Generale e Violenza domestica: un problema di Sanità Pubblica” con compilazione di un questionario sulla violenza domestica rivolto ai MMG.
Attualmente continua la collaborazione con enti istituzionali, gruppi professionali e Associazioni femminili impegnata soprattutto riguardo alla presenza di servizi socio-sanitari per la salute delle donne.

Violenza di genere: conoscenza del fenomeno in base ad esperienza di un operatore sanitario.

Vorrei presentare Franca Ardi, ginecologa che da molti anni si interessa alla violenza sessuale e di genere. La sua attenzione è nata in seguito ad una casuale esperienza che ha destato in lei particolare interessamento ad una realtà che si è rivelata ricca di aspetti inattesi e particolarmente importanti.
Non sono molti gli operatori sanitari attualmente impegnati in tale ambito, nonostante siano spesso direttamente coinvolti nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche della violenza. Il sistema sanitario si trova in posizione ottimale per intercettare le donne che hanno subito o subiscono violenza e può fare molto nella prevenzione e nell’emersione di tale problema.

In base all’esperienza di ginecologa territoriale, svolta in collegamento con servizi e istituzioni, si desidera valutare alcuni aspetti emersi, anche relativi alla realtà locale, per favorire la conoscenza, con valutazioni obiettive e chiare, del fenomeno della violenza di genere al fine di opportuni interventi di cura e prevenzione. Attualmente a riguardo molto si dice ma poco si conosce. Per curare un malato, prima bisogna fare esami e diagnosi.

E. Faretta: In base alle frequenti e anche recenti notizie di femminicidi, accaduti anche in Veneto e a Vicenza, chiedo a lei, che ha operato come sanitario riguardo al fenomeno della violenza di genere, delle considerazioni e riflessioni scaturite da tale esperienza.

Franca Ardi: Sino a quando casualmente mi sono imbattuta in tale problema, pur lavorando in ambito consultoriale, sapevo poco a riguardo. Approfondendo la conoscenza mi si è svelata una realtà , spesso drammatica, che mai avrei immaginato.
Tale stupore riguardava la notevole diffusione del problema, le conseguenze di grande sofferenza delle vittime e il silenzio che incombeva su una realtà nascosta.
Con l’esperienza ho inoltre acquisito sempre maggior consapevolezza dell’importanza del potere maschile nella nostra società, fattore importante nel favorire tale fenomeno. Illustro alcune informazioni e riflessioni a proposito:diffusione.

Un rapporto dell’ONU del 2006 stimava che, a livello mondiale, 1 donna su 3 sia stata picchiata o abusata sessualmente e 1 su 4 vittima di violenza durante la gravidanza. La violenza di genere è un fenomeno trasversale a paesi diversi e ad ogni classe sociale in Italia c’è una carenza di dati ufficiali. L’ultima indagine statistica è l’indagine ISTAT del 2006 che evidenzia una incidenza del 31,9% di violenza fisica e sessuale tra le intervistate con età tra i 16 e 70 anni. Riguardo al femminicidio c’è un’escalation di violenza che vede circa 900 donne uccise dal 2005 alla fine del 2012.

A riguardo non ci sono dati ufficiali. Le uniche informazioni disponibili sono quelle raccolte dalla “Casa delle Donne” di Bologna e si tratta sicuramente di numeri sottostimati gravità.
La violenza di genere presenta forme diverse: violenza fisica, sessuale psicologica – verbale, economica e si svolge prevalentemente in ambito familiare , da parte del partner o ex-partner ( violenza domestica) con ripercussioni gravi sui figli ( violenza assistita). Le conseguenze sulla salute sono pesanti, sia a livello fisico che psichico, conducendo anche alla morte. La violenza domestica è la principale causa di morte e invalidità per le donne tra i 16 e 44 anni, più del cancro o degli incidenti stradali silenzio. Il fenomeno, anche se grave, non emerge, a parte il clamore dato dai femminicidi.
È interessante valutarne il perché.

E. Faretta: È strano infatti che un tale fenomeno, così diffuso e grave non emerga. Vuole chiarirci a proposito, anche in base alla sua esperienza?

Franca Ardi: Ritengo che il “silenzio” sia una delle caratteristiche più specifiche della violenza di genere. Presenta vari aspetti: il silenzio delle vittime, il silenzio favorito dal maschilismo e il silenzio delle donne nella società.

Silenzio delle vittime: solo una minima parte delle vittime (circa il 10%) si espone e denuncia. È la punta di un iceberg. Il sommerso è elevatissimo, più del 90%.
Ciò accade per vari motivi: difficoltà della vittima a riconoscere ed accettare i maltrattamenti e la violenza. La violenza di genere, soprattutto la violenza domestica, avviene nell’ambito di relazioni affettive e di fiducia. Le donne non sono preparate a riconoscerla, pensano a relazioni normali e non capiscono la manipolazione, paura di esser giudicate o trattate male, vergogna o timore di ingerenze nella propria privacy, soprattutto da parte delle donne di classi agiate che, pur in possesso di maggior cultura e strumenti, non riescono a farsi rispettare.

È la “colpevolizzazione della donna” avvenuta nei secoli, scarsa fiducia nelle istituzioni. La giustizia è lenta e talora la denuncia aumenta il pericolo,
paura della reazione del partner, anche per il pericolo di essere uccise.
Silenzio favorito dal maschilismo e dalle istituzioni: l’ONU nel 1993 ha dichiarato che “ La violenza contro le donne è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro, ed ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne”.

C’è da considerare il concetto di “ complicità maschile” in base a cui i maschi traggono vantaggio dall’egemonia maschile e riscuotono la loro parte di dividendo patriarcale: il vantaggio ottenuto dalla subordinazione delle donne. La violenza di genere è legata ad un maschilismo potente, talora con misoginia, che alberga anche nelle stanze del potere e delle istituzioni. Inoltre il reato sessuale è un reato ad altissima nocività, non solo per la vittima, ma anche per l’aggressore, in particolare se scoperto. Le donne che si occupano di tale problema possono talora essere scoraggiate o anche ostacolate dalle stesse istituzioni.

Silenzio delle donne: nella nostra società androcentrica, con la donna relegata da sempre in posizione di subordinazione e prevalentemente di servizio e cura, è compito delle stesse donne vigilare e attivarsi con determinazione e con pensiero lungimirante e collettivo per il rispetto dei diritti e della salute loro e dei figli. La violenza di genere si accompagna spesso alla violenza assistita da parte dei figli. Inoltre il silenzio, favorito dal maschilismo, avvolge anche il grave e diffuso fenomeno della pedofilia.

L’ esperienza conferma che le donne si curano prevalentemente del benessere e della salute familiare, ma sono poco attente a loro stesse favorendo un ruolo di subordinazione. Le società nelle quali le donne sono subordinate presentano tassi più elevati di violenza maschile familiare, mentre le società in cui le donne godono di maggior risorse denunciano tassi minori di abusi, stupri e violenze.

E. Faretta: Si sa che i reati di violenza di genere sono reati ad altissima nocività con danni immediati e a lungo termine per le vittime, le famiglie , gli aggressori. Hanno costi enormi , per vari aspetti, anche per la società. In base alla sua conoscenza ed esperienza cosa si fa e/o si dovrebbe fare per curare e prevenire tale fenomeno?

Franca Ardi: La violenza verso i deboli è diffusa nella nostra società. Colpisce anziani, donne, bambini, disabili, malati, talora anche gli stessi uomini. In tale ambito la violenza di genere è in assoluto la violenza più diffusa, è una componente strutturale della nostra società. Gli interventi per la cura e la prevenzione della violenza devono tener conto di tale realtà, problema non privato ma di salute pubblica, e consistono prevalentemente in: azioni educative-culturali per migliorare e stabilizzare il livello culturale al fine di favorire un rapporto più equilibrato tra i sessi con interventi nelle scuole, in ambito legislativo e con campagne di informazione ed educative, presenza nel territorio di servizi socio-sanitari specifici, consultori familiari e centri antiviolenza, opportunamente organizzati al fine di rispondere ai problemi di salute e di disagio familiare e sociale favorendo l’empowerment della persona.

Nella attività di ginecologa consultoriale ho potuto constatare l’importanza di tali servizi per la salute e la valorizzazione della donna. Infatti ,oltre a risolvere i problemi di salute, svolgono un’azione educativa e culturale a livello sociale promuovendo la fiducia nella società e nelle istituzioni e favorendo collaborazione e solidarietà. Attualmente tali servizi sono in grande sofferenza, non solo per i costi economici.
Anche per la violenza di genere il costo della prevenzione è sempre inferiore a quello della cura dei danni fisici, psichici e relazionali/ sociali provocati da tale problema.

E. Faretta: Lei ha accennato all’importanza, confermata anche dall’ esperienza di ginecologa consultoriale, dei servizi territoriali di sostegno per la salute delle donne. I consultori familiari già si conoscono, poco si sa invece dei centri antiviolenza, citati talora in occasione di situazioni drammatiche relative a fatti di violenza di genere.

Franca Ardi: I centri antiviolenza sono le strutture specifiche di riferimento per il complesso problema della violenza di genere e domestica e rappresentano il fondamento dei programmi di sostegno alle vittime. Nati in Italia alla fine degli anni 80 per volontà di alcune associazioni di donne, sono state le prime strutture a porre sul piano pubblico la questione della violenza contro le donne e ad indicarne la natura strutturale, insita nella disparità di potere tra uomo-donna.
Oltre a dare sostegno alle vittime di violenza ed ai loro figli, con attività di pronta accoglienza, protezione e accompagnamento fuori dal tunnel della violenza tramite percorsi individualizzati e reinserimento sociale, operano a livello socio-culturale per la prevenzione e la sensibilizzazione sul tema della violenza di genere .
In Italia attualmente sono 63, collegati in una Rete nazionale, Rete D.i.Re , sorta nel 2008 e in contatto con la rete internazionale HAVE, Women Against Violence Europe.
I centri antiviolenza non sono istituzionali, per i comprensibili motivi sopra descritti, e sono organizzati secondo linee guida condivise anche a livello internazionale. Sono gestiti dalle donne e le operatrici sono nella totalità operatrici professioniste che usufruiscono anche di collaborazioni professionali con esperte. Agiscono in collegamento con le strutture pubbliche della Rete dei Servizi, : Forze dell’Ordine, Comune, ULSS ( Pronto soccorso e Consultori), MMG, Magistratura, Scuola,…
Nei Paesi dove ci sono, le vittime della violenza di genere sono calate.
Esistono anche altre strutture non specifiche per la violenza che danno supporto e accoglienza alle vittime, ma con risposte limitate; la donna rimane comunque sola, talora con aggravamento del problema.

E. Faretta: Considerando che i Paesi, in cui le donne godono di maggior risorse,denunciano tassi minori di abusi e violenze mentre le società in cui le donne sono più subordinate presentano tassi più elevati di violenza maschile familiare, sa dirci a riguardo qualcosa dell’Italia, anche del Veneto e di Vicenza, dove lei vive?

Franca Ardi: Se n’è fatta di strada nel nostro Paese dal 1981, anno in cui è stata abrogata la Legge sul delitto d’onore, ma purtroppo non molta. Infatti nel Global Gender Gap report del 2012 l’Italia è scesa, con continua retrocessione negli ultimi anni, all’80° posto riguardo alla disparità di genere e alla salute di genere dopo Bangladesh, Ghana e Perù. Ciò merita una riflessione anche in relazione al femminicidio.

Di ciò poco si parla. Rispetto alle altre nazioni europee l’Italia presenta una maggiore fragilità culturale e consistenti ritardi sia nella creazione dei centri antiviolenza che nell’approvazione di nuove leggi, non solo repressive ma promotrici di cultura. Il 17-02-2011 la Corte dei Conti ha dato il via libera al primo Piano Nazionale contro la violenza di genere e lo stalking. Attualmente la Commissione Affari Sociali della Camera sta lavorando al decreto legge 93/2013 che riguarda i centri antiviolenza e finanziamenti.

Attualmente la situazione è problematica anche nel Veneto, regione che, pur provvista di una molteplicità di servizi di assistenza pubblica e privata, ha maggior carenza tra le regioni del Nord Italia di centri antiviolenza. In Veneto la media delle vittime di violenza è del 34,3%, al disopra della media nazionale del 31,9%. Recentemente è stata promulgata una Legge Regionale per prevenire e contrastare la violenza contro le donne con promozione e attivazione di centri antiviolenza.

A Vicenza negli ultimi anni c’è maggior attenzione a tale problema con maggior consapevolezza da parte delle donne e sostegno da parte delle istituzioni. Esiste un centro antiviolenza in fieri, sostenuto dal Comune.

Concludendo: la violenza contro le donne è un problema pubblico e può essere prevenuto. Si può prevenirlo con un intervento trasversale e costante su più livelli: politico, sociale, economico, legislativo, giuridico e sanitario. È un percorso difficile e lungo in quanto trattasi di problema strutturale della società. Per tale motivo è fondamentale la sempre maggior consapevolezza e presenza attiva delle donne che devono esser protagoniste e non delegare riguardo alla difesa della salute e dei diritti propri e dei figli.

Ho la convinzione per esperienza che se le donne agiscono, si muovono anche le istituzioni. Se le donne non fanno, le istituzioni tacciono. Dipende molto dalle donne.