11.  Psicologia Medico Paziente

Consensus |  Psicologia Medico Paziente

 

11.1

Il medico deve sapere, saper fare, saper essere. Ai primi due obiettivi provvede (o almeno dovrebbe provvedere) l’università a livello sia culturale (didattico) sia esperienziale (tirocinio).

Per saper essere medico, nell’accezione odierna (che è più vicina alla normale professionalità che non alla mitica missione di un dott. Schweitzer), occorrono ulteriori dosi di formazione culturale (informazione) e di formazione esperienziale alla relazione con il paziente (formazione psicologica).
Non si pretende che il medico diventi psicologo o si atteggi ad esserlo (in maniera autodidatta, artigianale, approssimativa) ma che sappia riconoscere la componente relazionale della pratica professionale quanto basta per: 1) non tirarsi troppo presto indietro scaricando il p. allo psicologo, 2) non commettere errori (primum non nocere), 3) non tradire la fiducia e le speranze del p., 4) rispettare il suo ippocratico dovere di alleviare comunque la sofferenza del p., 5) ricordare che è un medico della persona umana e non solo del fisico umano come verrebbe da pensare ricordando che, in inglese, il medico si chiama physician (= fisico).
Il maestro elementare non è psicologo, né deve farlo, ma la sua formazione in pedagogia è intrisa di concetti psicologici. Viceversa, nei programmi universitari di medicina, la psicologia è presente in dimensioni microscopiche, poco più che per puro onor di firma.

11.2

Al medico non si chiede di fare lo psicologo, e quindi lo psicoterapeuta, perché ciò compete ad un altro professionista. Ma il medico può e deve essere un po’ psicologo così come è anche un po’ oculista se prescrive un collirio o un po’ chirurgo se medica una ferita.
Al medico si richiede la capacità di comprensione dello stato psicologico del paziente, la percezione delle proprie reazioni, e conoscenze fondamentali di psicosomatica e di psicologia medica.

11.3

Non esiste una “psicoterapia” esercitata dal medico, ma un modo psicologico di gestire i malati, definibile più correttamente psicologia del rapporto medico-paziente.
L’accoglienza e l’ascolto, l’anamnesi dettagliata ed intima, il calmo incoraggiamento alla fiducia (che non è solo rassicurazione semplicistica), l’implicita accettazione senza riserve della richiesta d’aiuto che il p. avanza, il freno alla pericolosa pretesa di onnipotenza che alcuni medici ritengono opportuno esibire, il rispetto assoluto del malato, l’umiltà di calarsi empaticamente nei suoi panni per meglio capirlo: tutto questo sembra psicoterapia e, in un certo senso, lo è. Ma, più propriamente, è solo un buon rapporto medico-paziente.

11.4

Il ruolo del medico è insostituibile, anche se tecnicamente ciò sarebbe possibile: il paziente potrebbe rispondere alle domande di un programma computerizzato ed ottenere diagnosi, prognosi e ricetta premendo un tasto.

11.5

Nel medico il p. cerca più di un meccanismo sintomo-cura. Cerca e vuole un essere umano capace di ascoltare, capire, aiutare. Sono qualità che il p. pretende, sicché rigetta e maltratta il medico che, frettoloso e scostante, si limita a copiare ricette eludendo le domande (ma non il burn-out).

11.6

Il medico privo di tatto psicologico, e incapace di avvertire e comprendere la possibile alterità culturale del paziente, non ha carisma e quindi non è efficace. Al carisma del sanitario spetta almeno il 50% del risultato di una cura.

11.7

Il medico deve saper ascoltare. Ogni medico conosce pazienti sui generis che si rivolgono a lui con frequenza, ogni volta accusando disturbi diversi. Sono individui emarginati, stanchi, frustrati, alla deriva, privi di interlocutori. Non resta altro modo, per tenere desta l’attenzione dell’ambiente, che rifugiarsi nella malattia. Allora la visita medica è, insieme, un attestato per i familiari ma anche l’incontro con un essere umano che finalmente ascolta, dà retta, visita, si prende cura, dà consigli e farmaci. L’ultima spiaggia della solidarietà umana.
Sono i nuovi poveri della società industrializzata che elemosinano un soldo di considerazione, sono i nuovi clienti (e non pazienti) di cui parla Giorda (47).
Balint dice che il medico deve farsi medicina (13). Perciò qualche paziente dice: “adesso che ho parlato con lei già mi sento meglio” (5).