XXV Congresso

Ecco la sintesi dell’intervista all’allora presidente della SIMP Ferruccio Antonelli

Croce – “….. in che modo nella particolarità della sua pratica e nella specificità della sua interpretazione si traduce il termine “psicosomatico”?

Antonelli – la psicosomatica è una corrente di pensiero per lo studio e la cura dei disturbi provocati o ag­gravati da situazioni emotive. È un modo nuovo di interpretare il rapporto medico-paziente.

È un di­verso stile di esercitare la medicina centrandola più sul malato che sulla malattia, e restituendo dignità sia a chi soffre sia a chi cura…..”

Croce- Il fatto che l’approccio psicosomatico comporti anche una particolare filosofia della sofferenza determina che l’adesione ad una di­mensione terapeutica fondata su tale approccio sia generalmente il frutto di una evoluzione per­sonale, nel senso culturale e psicologico del ter­mine.
Vorrei chiederle quale è stato per lei l’iter di tale evoluzione.

Antonelli – Vivere la medicina in chiave psico­somatologica richiede, si, una certa evoluzione, se non altro quella dell’esperienza professionale: il vecchio medico di famiglia è psicosomatologico per forza, magari anche a propria insaputa.

Però, in genere, più che di evoluzione, la psicosomatica ha biso­gno di quel requisito caratterologico che si chia­ma dimensione umana e cioè disponibilità all’a­scolto, alla comprensione, alla rassicurazione. Niente di eroico; è una caratteristica che, per so­lito, costituisce la motivazione prioritaria che ha indotto a scegliere la facoltà di medicina.

Per quanto mi riguarda, io ho sempre sentito in me questo “drive”, forse favorito dal mio impegno cattolico.

Ma quest’ultima circostanza è casuale: la psicosomatica non è legata ad alcuna ideologia; del resto, carità cristiana e solidarietà socialista, all’atto pratico, collimano.

[…] L’intervistatore chiede  se “l’atteggiamento psicosomatico” sia anche il prodotto di una formazione e cosa ciò dovrebbe comportare in termini pratici

Antonelli – “……. La formazione, in termini pratici, è la somma di tre addendi: cultura, esperienza, specificità.   La letteratura scientifica psicosomatologica è molto varia e sarebbe bene che i suoi cultori ne cono­scessero gran parte; l’esperienza clinica con pa­zienti psicosomatici è la verifica necessaria per metabolizzare le teorie; la specificità permette di ridimensionare le pretese onnipotenti e limitare, con umiltà e onestà, il campo d’azione dell’inter­vento……..

Croce – A quali strutture, nella realtà socio­sanitaria dell’Italia potrebbe rivolgersi chi, avver­tendone l’esigenza, volesse cercare una forma­zione alla psicosomatica?

Antonelli–  L’unica struttura che mi risulta è il “Corso quadriennale di formazione in medicina psicosomatica e psicoterapia” che la SIMP pro­muove a Roma, con il patrocinio del Ministero della Sanità (Direzione Generale Ospedali) e con la collaborazione dell’Istituto di Psichiatria dell’U­niversità “La Sapienza” di Roma.

Un altro tipo di formazione è ottenibile fre­quentando i “Gruppi Balint”, che sono in corso, in modo pressochè permanente, in varie città d’I­talia. La SIMP ha un proprio servizio, che fa capo al Dr. Parietti, in grado di organizzare un Gruppo Balint  in qualunque centro venga richiesto da una dozzina di candidati.
L’intervistatore riferendosi a “psicosomatico” quale espressione di una deconnessione patologica  della unità della persona chiede come tale deconnessione possa essere trattata

Antonelli –Più che di “deconnessione” par­lerei di indebita ingerenza del mondo psichico in quello somatico e cioè di “somatizzazione di stati depressivo-ansiosi”. Un’ingerenza fisiologica è prevista dalla p.s. intesa come momento unifican­te e non certo come dicotomia.

Ma quando tale ingerenza supera determinati livelli quantitativi e qualitativi, si ha il disagio (distress), la disfunzio­ne, l’alterazione, cioè il disturbo psicosomatico.

L’obiettivo prioritario dell’intervento psicosomato­logico è il ristabilimento dell’equilibrio esistenzia­le a cui spesso segue la scomparsa (o almeno l’attenuazione) del disturbo e quindi la fine (o quasi) della sofferenza.

Croce – Almeno nella pratica della sofferenza l’atteggiamento psicosomatico si pone in una particolare relazione con la cultura filosofica e medica della nostra civiltà che ha la tendenza a scindere la dimensione organica da quella spiri­tuale o psico-affettiva individuale.

In che relazio­ne lei vede la psicosomatica con la cultura filo­sofica e medica del corpo in occidente?

Antonelli – Ogni movimento culturale racco­glie consensi o meno a seconda di quale cultura preesistente trova in ogni determinato ambiente. Nel Giappone, sensibilizzato dallo Zen, la psico­somatica si è imposta con straordinaria immedia­tezza ed in modo quanto mai naturale.

Nell’occi­dente europeo, esaltato dai trionfi della medicina organicista dell’ottocento e scottato dalla strego­neria medievale, la psicosomatica è stata accolta con caute­la e persino diffidenza.

Ma lo stesso occidente ha sempre coltivato il primato dello spirito su mate­ria, e questa tradizione ha finito col rendere ac­cettabile in tempi brevi la psicosomatica riconoscendola come un progresso, quando non ha addirittura tentato di rivendicarne la paternità rispolverando le intuizioni “psicosomatiche” di eroi del suo mondo classico, come Ippocrate e Platone.

Croce – Si è detto che la medicina psicosoma­tica è in realtà l’espressione di un atteggiamento diverso di fronte al malato e alla sua sofferenza e che nell’approccio psicosomatico confluiscono le tecniche più diverse per la cura della malattia; una delle tecniche di elezione, in questo approc­cio, è la psicoterapia.
Secondo lei quali rapporti intercorrono tra psicosomatica e psicoterapia e quale è la reale applicabilità di quest’ultima nei casi di “malati psicosomatici”?

Antonelli – La psicosomatica non avrebbe senso di esi­stere se venisse disgiunta dalla psicoterapia.  Le malattie “ex emotione” sono note da millenni; la novità è nella possibilità di prevenirle e di curarle.

Se il disturbo psicosomatico significa – come significa – un fenomeno che nasce nello psichismo e si manife­sta nel corpo, è chiaro che la terapia causale è solo psicologica; altrimenti si avrebbe l’assurdo di voler abbattere un aereo con un siluro.

Il paziente psicosomatico ha poca disponibilità ad una psicoterapia analitica, frenato com’è dalla alexitimia, dal pensiero operativo, dal pregiudizio che identifica gli operatori psichiatrici con i “me­dici dei pazzi”, dalla mitizzazione degli esami di laboratorio e dei farmaci.

Ma alcune tecniche psi­coterapiche moderne sembrano particolarmente accette agli psicosomatici proprio perchè “cen­trate sul corpo” (rilassamento, Gestalt, bioener­getica), e sono in grado di ottenere risultati posi­tivi e persino in tempi brevi.

Croce– Non si può parlare di approccio psi­cosomatico se non si costituisce l’idea di mes­saggio, di comunicazione che la malattia il più delle volte costituisce; per cui lei è d’accordo sul fatto che l’atteggiamento psicosomatista com­porta, per chi l’assume, una disponibilità all’a­scolto e alla decodificazione del messaggio insi­to nella malattia?

Antonelli- La psicoterapia di un paziente psicosomatico è difficile perchè deve superare le barriere delle resistenze, dello scetticismo, della cultura organicista. In genere, qualche esperienza di training autogeno e qualche convincente spie­gazione di tipo cognitivo sono in grado di stabilire un primo contatto e di sciogliere qualche riserva. Ciò che segue, se ci si riesce, è la psicoterapia vera e propria, il vero processo di insight e di crescita.

Croce – La disponibilità all’ascolto e alla deco­dificazione di ciò che il malato comunica con la sua sofferenza implica che si costituisca una re­lazione umana tra paziente e terapeuta; in una società come la nostra in cui la presenza tecno­logica, particolarmente nel trattamento della malattia, diventa sempre più imponente, creando sempre più distacco tra il malato e il suo medico e riducendo sempre più lo spazio della relazio­ne, quale futuro lei prospetta per la psicosomati­ca?

Antonelli-“……Nel clima della malattia, il rapporto medico-paziente non ha bisogno di essere cercato o creato; nasce per germinazione spontanea; il medico deve solo ge­stirlo.

Se lo fa bene, perchè adeguatamente for­mato in senso psicosomatologico, diventa medici­na egli stesso e raddoppia le sue umane poten­zialità di guarire……”