4. Costrutti Teorici

Consensus | Costrutti Teorici

 

4.1 Come ogni disciplina scientifica la MP possiede modelli etiopatogenetici che sono frutto di ipotesi, ricerche, verifiche, e che propongono sempre nuovi modi di descrivere, interpretare, comprendere le cause (etiologia) e la dinamica (patogenesi) di un fenomeno.
L’acquisita certezza della polifattorialità del fenomeno psicosomatico, oggi definito biopsicosociale, ha annullato la precedente suddivisione dei modelli in: psicologici (o psicodinamici), psicobiologici, sociali.
Alcuni dei principali modelli della MP sono qui elencati nell’ordine approssimativamente cronologico con cui sono stati consegnati alla letteratura.

4.2 Modello psicoanalitico. Anche se le interazioni psicofisiche si conoscevano da tempo è alla psicoanalisi che dobbiamo un notevole contributo alla nascita della psicosomatica, da quando Freud introduce la nozione di inconscio nella scienza medica (“i processi psichici riposano sull’organismo”) e distingue nel sintomo un aspetto psicologico (che considera suo campo di studio) ed uno organico (che non può affrontare).
Il vero fondatore della psicosomatica è lo psicoanalista Alexander. Dagli anni ’30 ai ’60 la psicosomatica è stata studiata in chiave prevalentemente psicodinamica, ma con risultati terapeutici deludenti. Il maggior limite degli analisti è stato l’aver creduto di poter dare una spiegazione, tratta dalla teoria della nevrosi, ad alcune malattie fisiche passando indifferentemente dal fisiologico allo psicologico e viceversa. Importante é stato poi il contributo di Balint che ha enfatizzato l’interazione medico-malato valorizzando l’utilizzo, da parte del medico, della sua stessa personalità nel rapporto col paziente.

4.3 Specificità di conflitto (Alexander, 1946). Come il riso è la risposta alla gioia e il pianto al dolore, così l’ipertensione lo è alla collera e alla paura, l’ipersecrezione gastrica all’emergenza, l’asma all’impulso inconscio e represso di gridare per chiedere l’aiuto della madre, e così via. Nasce il linguaggio simbolico degli organi (accantonando la teoria adleriana del locus minoris resistentiae, o meiopragia d’organo, per cui eventi stressanti farebbero ammalare l’organo più vulnerabile) (1).
Il simbolismo del sintomo, spesso gradito dal paziente, è seguìto da vari cultori della short psychotherapy (suggerita da Alexander) i quali perciò contestano l’uso di farmaci sintomatici, come gli epidemiologi sono contrari all’antibiotico ad ampio spettro somministrato prima di scoprire il motivo dello stato febbrile. La teoria è valida in senso psicoterapico ma risulta spiazzata nei casi, non rari, di symptom displacement = cambio del sintomo.
Oggi il simbolismo è considerato da alcuni psicoterapeuti come la chiave di lettura per interpretare i sintomi. Però i sintomi non sono frutto del paziente, il quale è incapace di elaborazioni simbolico-fantasmatiche (96, 73); ed è proprio per questa incapacità che egli sviluppa un sintomo somatico.

4.4 Specificità personologica (Dunbar, 1947). Ci aveva già pensato Ippocrate con i suoi quattro umori: sanguigno, flemmatico, bilioso, melanconico. In effetti esistono caratteristiche comuni a tutti i coronaropatici (personalità di tipo A di Friedman (44), a tutti i cancerosi (tipo C (49) da cancer) così come sembrano simili tra loro gli ulcerosi, i colitici, i collezionatori di incidenti (accident proneness (10). La Dunbar ha confermato scientificamente, con batterie di test, tali osservazioni, ed ha stilato una serie di profili caratterologici riconosciuti costanti tra gruppi di pazienti affetti da una stessa malattia. La psicosomatosi sarebbe dunque una sorta di predisposizione che particolari eventi possono slatentizzare e trasformare in malattia (39).
La teoria è valida ai fini di un intervento psicoterapico mirato a cambiare determinate abitudini di vita che possono essere antieconomiche e patogene.

4.5 Modello familiare sistemico (Meissner e Minuchin, 1966). Il paziente psicosomatico avrebbe un’immaturità proporzionale al suo grado di coinvolgimento emotivo nelle interazioni familiari, ed una instabilità emozionale che è condizionata dalla instabilità delle relazioni tra i membri della famiglia; perciò una disorganizzazione nel gruppo familiare rompe l’equilibrio del paziente e produce in lui uno “scompenso somatico”. Questo disturbo rischia poi di essere cronicizzato per essere utilizzato come comunicazione all’interno della famiglia. La sua soluzione è possibile solo con una psicoterapia familiare (77, 79).
Gran parte della pediatria psicosomatica si spiega con la triangolazione di un conflitto tra i genitori ai danni del membro più debole della famiglia che diventa vittima del conflitto e portatore del sintomo.
Mai come nel bambino ogni evento morboso è “psicosomatico”. La visione genetica della psicosomatica permette una stimolante chiave di lettura. Nel bambino la comunicazione inizia dai messaggi corporei motorio-sensoriali per giungere a quelli verbali-affettivi, trasformazione che è mediata dalla funzione materna. Nei casi di fallimento dei processi introiettivi, il disturbo psicosomatico, negli aspetti genetici e relazionali, è interpretabile come ritorno ad un’espressività corporea di un disagio o di una sofferenza che non è possibile esprimere mentalmente. Questa impostazione ha ricadute nell’affrontare i trattamenti terapeutici sia dei bambini che degli adulti.

4.6 Giving-up given-up complex (Schmale e Engel, 1967). Il modello si riferisce al tipico quadro del paziente che, in conseguenza di gravi perdite o di eventi che lo schiaccino inducendolo alla resa, percepisce se stesso come ormai incapace di ogni controllo su di sé o sull’ambiente, oscillando tra il sentimento di abbandono, con il senso di mancanza di qualunque possibilità di aiuto dal mondo (helplessness), e il sentimento di disperazione per cui tutto è ormai inutile (hopelessness), niente è più possibile, una frattura incolmabile separa il passato dal futuro. Si prevedono tre sbocchi possibili a questo “given-up complex”: o qualcosa cambia nell’ambiente o nell’individuo e questi recupera la sua normalità, oppure intervengono modificazioni psicopatologiche e il soggetto ammala psichiatricamente assumendo comportamenti devianti, oppure egli sviluppa una malattia somatica (91).
Ne deriva la considerazione che ogni grave evento stressante (p.es. un lutto) costituisce un notevole fattore di rischio, almeno per alcuni mesi, esaltando la vulnerabilità ad ammalare. Da ciò deriva un duplice messaggio pratico. Primo, l’opportunità di un sostegno psicologico precoce e costante per ogni individuo in crisi; secondo, massima attenzione a controllare tutti gli altri possibili fattori di rischio per controbilanciare l’accentuazione del rischio psicologico.

4.7 Complementarità psicofisiologica (Bahnson, 1969). Lo stress provoca una regressione che può essere comportamentale o somatica a seconda di come vengono utilizzate le difese del soggetto: nel primo caso prevalgono le difese proiettive e di spostamento che coinvolgono il livello dei rapporti interpersonali, e l’esito è la nevrosi, e persino la psicosi; nel secondo prevalgono le difese di tipo rimozione-diniego (repression-denial) che indirizzano all’interno del corpo la scarica della regressione, con esito in isteria, psicosomatosi, malattie organiche, cancro. Nel modello dei Bahnson il cancro appare come alternativa complementare alla psicosi, mentre la malattia psicosomatica sembra essere, insieme, un’alternativa ad ogni patologia di tipo mentale, e una seconda linea di difesa (dopo la nevrosi) contro la neoplasia (11).
Questa teoria rinnova l’invito a rispettare il sintomo e suggerisce, all’intervento psicoterapico, di puntare alla mobilizzazione di meccanismi difensivi più economici.
L’alternativa di Bahnson è confermata dalla rarità di disturbi psicosomatici negli psicotici (43, 69).

4.8 Alexithymia (Sifneos, 1967) letteralmente significa emozione senza lessico, cioè incapacità ad esprimere verbalmente le proprie emozioni: l’attenzione è interamente centrata sugli oggetti e sulla realtà esterna; funzionalmente la neocorteccia predomina sul sistema limbico; manca ogni integrazione tra componenti intellettive ed emozionali (95).

4.9 Pensiero operatorio (Marty, 1971) (pensée operatoire): il paziente psicosomatico è incapace di elaborare i conflitti a livello mentale, è privo di vita fantasmatica, carente di sogni, incapace di stabilire un transfert; ha un pensiero pragmatico, rivolto esclusivamente al presente, alla realtà concreta, senza rapporti con fantasie inconsce; sembra più lo spettatore che il protagonista della sua vita. L’incapacità a gestire i conflitti, non potendosi legare in formazioni nevrotiche, tende a scaricarsi primitivamente e distruttivamente a livello somatico portando alla formazione del sintomo (75).
Lo spunto pratico che deriva dai modelli dell’alexithymia e del pensiero operativo consiste nel considerare il paziente psicosomatico molto diverso da un comune nevrotico e quindi nel trattarlo con mezzi più adeguati quali il counseling, la behavior therapy, il training autogeno, l’ipnosi, la psicoterapia di sostegno, privilegiando queste tecniche ad ogni psicoterapia dinamica.

4.10 Modello psicosociale (Levi, 1972). Si riallaccia storicamente alle ricerche di Cannon (1929), Wolff (1950), Selye (1957). Gli “stimoli psicosociali” incidono sul “programma psicobiologico” dell’individuo (e cioè il suo patrimonio genetico e di esperienze infantili) e possono provocare dei “precursori di malattia” (che, alla lunga, portano alla “malattia somatica”) attraverso una serie di “variabili interagenti” che altro non sono che le varie alterazioni specifiche, a carico di organi e funzioni, conseguenti alla aspecificità dello stress. Il modello psicosociale di Levi offre una visione nuova della psicosomatica, non più limitata nella prospettiva della reazione individuale alle emozioni ma vista in individui immersi nella loro realtà sociale ed ambientale (64).
Ciò dà vita, tra l’altro, alla branca psicosomatica della medicina del lavoro, e nuova luce alle malattie professionali (manager’s disease), ovvie conseguenze delle dimostrate alterazioni, per causa del lavoro, dell’attività cardiocircolatoria, del metabolismo e dell’apparato endocrino.
Si è fatta una classifica dei lavori in ordine al loro potenziale patogeno. Si sono anche ridimensionati alcuni pregiudizi: p.es. si è riabilitata la catena di montaggio, la cui noia pare sia più riposante che alienante (38) e si è anche accertato che il lavoro giova alla donna dimezzando il rischio di malattie (15).
E’ emersa tutta una patologia della solitudine (8, 48): l’indice di mortalità raddoppia se mancano legami di attaccamento (31); i singles, i separati, i vedovi sono più vulnerabili dei coniugati (57); meno vulnerabili sono viceversa coloro che vivono in famiglia o che frequentano associazioni volontaristiche, club, comunità ed altre “agenzie di sicurezza” (18).
E’ emersa pure una patologia da lutto: il 40% dei vedovi si ammala o muore (di crepacuore, broken heart) nei primi sei mesi (84); nel primo anno di lutto la morbilità e la mortalità dei familiari superstiti è di sette volte superiore alla media (54).
I fattori sociali sono talmente importanti che Kleinman pensa che la MP dovrebbe chiamarsi sociomatica. Egli enfatizza il valore della disponibilità al rapporto interpersonale (space between us) e dell’amore (“di non amore si muore”).

4.11 Hardiness (Kobasa, 1979). Letteralmente significa ardìre, vigore, resistenza. E’ alla base del coping che significa fronteggiare, lottare con successo. Una valida rielaborazione cognitiva può ridimensionare l’evento stressante ed evitare che esso destabilizzi l’omeostasi e faccia ammalare. Componenti dell’hardiness sono il commitment (impegno, autostima, coinvolgersi attivamente in ciò che si fa o che interessa), il control (controllo delle “proprie” capacità di adattamento), lo challenge (sfida: la normalità sta nel cambiamento più che nella stabilità; l’evento stressante è una possibilità di crescita più che una minaccia alla sicurezza). Individui con “bassa hardiness” sono i più vulnerabili alle psicosomatosi da eventi stressanti (60).
Più che un modello etiopatogenetico è la falsariga di un progetto psicoterapico di sostegno e di riadattamento.

4.12 Modello psicosomatico (Pancheri, 1980). Tenta una sintesi tra i vari modelli. Ogni stimolo, sia esso sociale e/o individuale, produce modificazioni psicologiche e biologiche determinate dal programma psicobiologico dell’individuo, con esito in patologia mentale oppure somatica. Il passaggio dallo stimolo alla malattia avviene attraverso cinque fasi: 1) imprinting o registrazione nella memoria emozionale, a livello limbico-ipotalamico, di stress infantili, 2) strutturazione di uno stile personale di risposta (somatica o comportamentale) agli stress, 3) riattivazione emozionale in presenza di nuovi stimoli, reali o simbolici, 4) precursori della malattia (disfunzione), 5) malattia psicosomatica (82).
Questo modello ha il suo interesse nel fatto che copre vari livelli di analisi della psicosomatosi (livelli psicosociale, psicologico, biologico, clinico) indicando le potenzialità operative della medicina psicosomatica lungo l’intero iter della malattia, dalla prevenzione alla terapia.

4.13 Brositimia (Antonelli, 1981). Letteralmente significa sentimento ingoiato, dal greco brozo = ingoio (da cui brosis = cibo). Si riferisce ad una frequente espressione dei malati psicosomatici: “io sono nervoso dentro, sicché neanche sembro nervoso. Io non reagisco, non strillo, io mando giù”. Quasi si compiacciono nel dirlo. Ma questo stile di vita è il principale responsabile delle loro sofferenze, la più chiara espressione della somatizzazione dell’ansia (6).
“Mandare giù” ricorda la tecnica dello struzzo. Non risolve i problemi ma li dirotta all’interno lasciandoli insoluti. E l’ansia, sofferenza dello spirito, si aggiunge così alla somatizzazione, sofferenza del corpo. Rivelare al paziente la diagnosi di brositimia può aiutarlo a capirsi e ad aprirsi, favorendo così un approccio psicoterapico altrimenti inaccettato.

4.14 Eco-Biopsicologia (Frigoli e coll., 1987). Introduce l’ermeneutica funzionale come metodo di interpretazione dei correlati fra psiche, bios e sistema ecologico. In quest’ottica l’analogia e il simbolo vengono utilizzati come strumento operativo per porre in relazione i codici semeiologici delle infinite forme del mondo vivente (aspetto ecologico) con gli analoghi linguaggi del corpo umano (che nella sua ontogenesi riassume la filogenesi del mondo biologico) per poi ritrovare tale relazione tra “mondo” e bios umano, negli aspetti psicologici e culturali dello stesso, grazie ai miti, alla storia delle religioni, e alle immagini collettive dell’umanità (aspetto psicologico). Si creano così i presupposti per una “fisiologia psicosomatica simbolica”.